un'inedita e provocatoria chiave di lettura [tratta da http://linus.net/] che non poteva passare inosservata: la do in pasto ai blogtrotters.... :)

illustrazione di Maurizio Minoggio
Lo sport, come la religione, promette un premio in cambio di un sacrificio. E se fosse inutile? Che lo sforzo sia con voi “Dopo la Chiesa, il Football è quanto abbiamo di meglio”, diceva Knute Rockne, il più famoso allenatore di football americano. Lo sport è un culto stagionale ma conta sempre tantissimi adepti che si ritrovano ogni autunno nelle palestre, nei circoli e all’aria aperta. Parliamo dello sport nelle sue infinite varianti dilettantistiche, quelle che offrono la possibilità di arrivare, se non ai vertici di una classifica, almeno a illudersi di diventare migliori.
Così come nella religione a ognuno è data l’opportunità di varcare le porte del Paradiso. Anche senza aspirare ai record, questa religione promette a tutti, come minimo garantito, una mens sana in corpore sano. Ed è facile crederci. L’esaltazione del corpo caratteristica della retorica sportiva però è direttamente proporzionale alla repressione che proprio attraverso lo sport si esercita sul corpo stesso, disciplinandolo, forzandolo, educandolo per educare, con esso, anche lo spirito.
Fino a poco tempo fa, infatti, la medicina sportiva sposava la causa della morale sessuale più retriva presentando lo sport come il migliore strumento per controllare e regolare i “pericolosi” fenomeni che avvengono nel corpo degli adolescenti durante il periodo della pubertà: “Deve fare sport e movimento per stancarsi e limitare le sue fantasie…”, consigliava il medico.
Lo sport diventava in casi come questo il farmaco ideale contro la polluzione notturna, la masturbazione, e troppi sogni a occhi aperti. L’attività sportiva viene ancora spacciata da educatori, igienisti e puericultori come l’unico mezzo a nostra disposizione per far crescere sani e belli i figli. Che cosa accadrebbe se non praticassimo lo sport? Avremmo senz’altro un’umanità deforme e malata.
Forse perfino viziosa. E allora un po’ di sacrificio diviene necessario. Lo sport affonda le sue radici nella dinamica del debito e del credito tipica dello scambio sacrificale. Il sacrificio dello sportivo, proprio perché esprime (o pretende di esprimere) valori etici, non ha nulla a che fare con lo scambio mercantile perché, come osservano gli storici delle religioni, ogni sacrificio è prima di tutto sacrificio di sé.
Questo concetto è espresso con efficacia dall’esercizio della croce che gli atleti della ginnastica artistica eseguono agli anelli mimando inconsapevolmente il sacrificio di Cristo. Ma è sacrificio anche l’attività dell’arbitro che rinuncia a prender parte al gioco di gruppo pur di contribuire al suo corretto svolgimento. Ed è certamente sacrificio quello dell’atleta che muore di doping, vittima suo malgrado dell’industria dello sport-spettacolo. Nessuno in realtà avrebbe voglia di sacrificarsi più di tanto e bisognerebbe tirar fuori una motivazione valida per tutto questo.
Così, dalla funzione educativa e “moralmente formativa”, si è passati a quella estetica: con il fitness, l’attività fisica è diventata quasi un’alternativa alla chirurgia plastica. La concezione del corpo inteso come “macchina” trova qui la sua massima esaltazione. Nessuno meglio di una macchina può fornire il riferimento degli standard di efficienza da raggiungere.
E, quanto più il corpo si adegua alle macchine, tanto più diviene “bello”. Gli istruttori stessi vengono sostituiti dai macchinari. Ma attenzione, nuovi culti alternativi come il wellness e le “ginnastiche dolci” conquistano sempre più fedeli: promettono gli stessi risultati del fitness senza faticare. Il risultato senza il sacrificio. Il primo segnale dell’eresia.
Per ultime sono arrivate le macchine per fare ginnastica senza fare assolutamente nulla: gli elettrostimolatori. Un po’ di elettrodi attaccati alla pelle e “l’onda rettangolare bifasica simmetrica” fa lavorare tutti i muscoli stando perfettamente fermi. Di questo passo, qualcuno scoprirà finalmente che l’ozio è l’attività più salutare.
B.Ballardini